Serenis, una piattaforma dedicata al benessere mentale, ha condotto un sondaggio coinvolgendo un campione di oltre 230 partecipanti, tra membri della propria community e persone esterne, con l’obiettivo di indagare sugli impatti psicologici e le emozioni legate alla donazione del sangue. Infatti, secondo Serenis e Fondazione Telethon, compiere un atto di altruismo giova non solo al prossimo, ma anche a se stessi.
È noto che il volontariato può avere un effetto positivo sulla felicità individuale. La donazione del sangue rappresenta un esempio concreto di altruismo e solidarietà. In Italia, ogni anno, grazie a questo gesto, circa 630.000 persone hanno una possibilità in più di vita. Questo vale soprattutto per i pazienti affetti da malattie croniche o situazioni di emergenza. Tuttavia, nonostante l’aumento complessivo dei donatori, sempre meno giovani scelgono di intraprendere questa importante via.
I risultati raccolti dallo studio di Serenis
Serenis ha condotto un sondaggio su 235 persone, al fine di comprendere le motivazioni e le paure associate alla donazione del sangue. Tra gli intervistati, il 59% ha donato il sangue, di cui il 22,9% per ricevere analisi gratuite e solo una piccola percentuale (8,5%) in quanto membro di un’associazione. Il 14,9% ha smesso di donare a causa di vari motivi. Invece, il 40,8% degli intervistati non ha mai donato il sangue. Tra questi, il 14,4% dichiara di avere paura dell’ago o di essere spaventato dal momento della donazione, mentre solo il 5,1% ritiene di non avere informazioni sufficienti.
Sebbene il momento della donazione possa essere associato a emozioni negative come ansia, timore, agitazione, paura e dolore, nel resto dei casi emozioni come altruismo, benessere, felicità, generosità, gratitudine, orgoglio e soddisfazione prevalgono sulla paura di donare, soprattutto dopo il prelievo.
“Il nostro lato sociale, quello che ci spinge a stare insieme e ad aiutarci, è fondamentale per farci sopravvivere. Ma perché aiutiamo gli altri? Per incentivare lo spirito di solidarietà, la compassione o per compiere un atto di fede: in molte religioni, infatti, aiutare il prossimo viene considerato un principio centrale – dichiara Martina Migliore, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale di Serenis ed esperta di Superhero Therapy – Ma possiamo anche farlo per occupare il tempo, incontrare nuove persone, ridurre il senso di colpa o ricevere gratificazioni. Insomma, per premesse più “egoistiche”. Questo ovviamente non toglie il valore del gesto, né rende la persona meno “altruista”, anzi, sapere che fare del bene può giovare anche a noi stessi può essere un motivo ulteriore per impegnarsi nel volontariato o nella beneficenza”.
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