5 libri di scrittrici italiane contro i luoghi comuni

Una selezione di romanzi e autobiografie di scrittrici italiane, con estratti.

Raramente si era sentita a proprio agio in quella stanza, soprattutto di notte, quando tutto, dai tomi rilegati in pelle che affollavano gli scaffali, ai pannelli di legno scuro alle pareti, fino alle bacheche di vetro con gli albarelli che luccicavano sugli scaffali più alti, tutto emanava il sentore eccitante ma ostile del sapere, del potere e dei misteri maschili.

(Patrick McGrath, Martha Peake).

La sensazione che prova la protagonista del passo citato, di soggezione ed entusiasmo di fronte ai libri, è cosa comprensibile e abbastanza nota ai lettori più appassionati; fortunatamente invece il sapere non è più prerogativa maschile e i libri non li scrivono più solamente gli uomini.

Anzi. Le donne che scrivono, a volte lo fanno infrangendo la spessa barriera dei luoghi comuni.

Secondo questo criterio sono stati selezionati i cinque titoli seguenti di scrittrici italiane, molto diversi tra loro. In ordine di uscita:

Donatella Di Pietrantonio, L’Arminuta

L’Arminuta, “la ritornata”, ancora bambina, è costretta a tornare dalla sua famiglia d’origine che l’aveva lasciata a una coppia senza figli, dopo la separazione dei genitori affidatari. La nuova casa è piccola, buia e piena di fratelli che la guardano con sospetto, con i quali dovrà condividere il poco cibo che arriva in tavola. Con Adriana, la coraggiosa e indipendente sorella minore, instaurerà un legame speciale.

È stato detto che questo sia un romanzo sulla maternità. Invece no, questo è un romanzo sull’essere figli. Figli adottivi o naturali, ma sempre sacrificati – alle ragioni economiche, a un nuovo amore – sempre amati troppo poco e solo in funzione della realizzazione della propria genitorialità: nel rimorso se sono stati abbandonati; come senso del dovere quando ripresi indietro; con l’orgoglio se diventano i migliori della scuola o infine nel lutto, quando muoiono precocemente.
Ma mai amati davvero, con tenerezza, per quello che sono: bambini nell’impresa di crescere e diventare se stessi.
L’Arminuta è un’opera lieve e potente. All’inizio la lingua può sembrare scarna, invece era l’unica possibile per descrivere un mondo di relazioni avare d’amore, la delusione dei bambini, la paura di fidarsi e poi essere abbandonati di nuovo, che è descritta così:
Avevo paura di essere di nuovo felice.

Estratto

Nadia Toffa, Fiorire d’inverno

Quando uscì, il pubblico più esigente ne parlò come di un’opera acerba, scritta di corsa per cavalcare la notorietà.
La sensazione che ho avuto leggendola invece è stata di un’incredibile, disarmante sincerità.
Nadia Toffa è autentica, racconta se stessa senza cedere alla tentazione dell’approvazione del pubblico.
Emerge il ritratto di una donna contraddistinta da un’autodeterminazione feroce e convinta che nella vita conti l’impegno.
Una donna forte, orgogliosa, che non mitiga la propria autostima con falsa umiltà, con un’umiltà ammiccante.
Nel libro Toffa non dice: sono come voi.
Dice: “Io sono diventata forte perché ho dovuto, le mie sorelle invece sono deboli”.
E affronta persino il suo male con una dignità non comune.

Estratto

Emanuela Canepa, L’animale femmina

Che cosa hanno in comune l’arcigno signore protagonista di questa storia e la sua giovane segretaria, io narrante del romanzo? Sembrano lontanissimi l’uno dall’altra, per età, atteggiamento, classe sociale, autorealizzazione.
Entrambi però sono legati ad amori proibiti.

Lui, omosessuale in un’epoca in cui esserlo era ancora un tabù; lei amante di un uomo sposato.
In entrambi i casi il rischio è che l’amore sovverta l’ordine delle stabili relazioni matrimoniali, per questo i sentimenti vengono ignorati, derisi o amputati come le radici dei bonsai.
Finché si tratta solo di sesso, non può succedere nulla di male. Si può smettere senza soffrire.
Magari per una vita intera.

Estratto

Claudia Durastanti, La straniera

La straniera è il racconto autobiografico di una figlia di genitori sordi, che vive come tale un’infanzia e un’adolescenza segnate dalla diversità.

Nel ripercorrere i ricordi, Claudia Durastanti fa riferimenti alla musica, ai film e alle serie tv, alla vita quotidiana degli anni della sua giovinezza tra Brooklyn e la Basilicata, per poi spostarsi, da adulta, a Londra.
Della sua antica povertà, dice che si ritrova nei comportamenti come una macchia nel DNA: non è quella povertà che mette poco cibo nel piatto, ma quella che incide sul modo di affrontare i sogni.
“Eguaglianza significa che i figli degli operai non diventano solo dottori e avvocati, ma anche scrittori sotto-occupati e pittori in attesa di scoprire se hanno talento”.

Estratto

 

Angela Langone, Diario (tragicomico) di una mamma

Diario (tragicomico) di una mamma è un romanzo agrodolce e coraggioso che racconta una maternità senza filtri, con le sue luci e ombre.
Una scrittura visiva, quasi cinematografica, che ogni tanto rallenta per lasciare spazio all’intimità – ma con pudore, senza mai calcare la mano.

La storia della protagonista, Francesca, s’intreccia alle vicende di altre due donne le cui vite evolvono e si trasformano in modo sorprendente perché, mentre all’inizio il romanzo sembra sia stato scritto solo per far sorridere, man mano che si va avanti, diventa specchio di una realtà che interessa moltissime donne: la solitudine, la depressione post-parto, i cambiamenti, il ruolo sociale in un Paese che non pensa alle mamme. La protagonista affronterà tutto questo con autoironia e una nuova consapevolezza di sé.
Estratto