Continua l’ascesa dei ristoranti All You Can Eat, che aprono in sempre nuove varianti, giapponese cinese brasiliano pizza, incentivati dalla costante richiesta di chi per mangiare non ricerca qualità, ma quantità a prezzi modici.
A Milano sono 625, a Roma oltre 400, e in Valtellina hanno aperto gli All You Can Eat Pizzoccheri, stonati come una colata di cemento sulle Alpi.
La formula, nata negli Stati Uniti nei lontani anni Cinquanta (fu l’invenzione di un pubblicitario di Las Vegas) e giunta a noi solo negli anni Duemila, è nota: mangi tutto quello che riesci a prezzo fisso, con cifre che variano dai 20 a ritroso, fino ai miserabili 5 Euro.
Cosa possa garantire un pasto del genere, lo si può dire solo sottovoce.
Non certo qualità e servizio.
Il più delle volte ci si trova in situazioni di scarsa igiene e alimenti vicini alla scadenza. Gran quantità di merce che corrispondono a gran quantità di pubblico: per questo, anche l’estetica del locale lascia a desiderare, con sale estese e affollatissime che garantiscono maggiori profitti.
Il nipponico All You Can Eat è quello più frequente, pertanto maggiormente preso di mira da indagini e reportage: il più noto, quello de Le Iene, che hanno fatto analizzare il sushi di alcuni ristoranti All You Can Eat di Milano,
ha rivelato il massimo degrado del cibo, con la presenza di batteri altamente pericolosi per la salute su alcuni campioni.
Se è palese che mangiare pesce crudo possa comportare dei rischi, la percezione è diversa per altri All You Can Eat, per esempio quelli di pizza.
Ebbene, forse dopo un’orgia di cattiva pizza non si finirà all’ospedale, ma la sensazione rimane la stessa: trangugiamento a velocità di quello che arriva nel truogolo… pardon, piatto; mischiando, violentando i sapori senza alcun riguardo per il cibo e con voracità ansiogena, per ricavarne alla fine solo un triste impulso di bulimia giustificata.