Spinta dal colpo di fulmine con Guerra e pace mi sono volentieri impegnata nella lettura de Il dottor Zivago di cui non conoscevo la storia, se non in maniera nebulosa.
Le molte voci che mi consigliavano la lettura di questa pietra miliare della letteratura russa non hanno fatto che alimentare la mia curiosità verso il capolavoro che regalò a Boris Pasternak il premio Nobel nel 1958 (che però per ragioni politiche fu costretto a rifiutare).
Mi aveva colpito, in particolare, il modo con cui veniva descritto Zivago dai miei amici, un vero “eroe romantico”, e una cosa così detta a una che dello Sturm und Drang ha fatto un manifesto di vita non poteva che cogliere nel segno spingendomi alla lettura.
Devo dire che, nonostante queste premesse Il dottor Zivago non mi ha convinto del tutto, o meglio, Zivago mi ha deluso un po’, perché il romanzo invece ha di per sé un fascino intramontabile.
Non dirò molto sulla trama perché è una vicenda ben nota quella di Jurij Zivago e Lara, voglio andare al sodo della mia riflessione.
Ho apprezzato molto alcuni lati del carattere di Zivago, in particolare quel suo mettere gli affetti al primo posto in una gerarchia di valori: Jurij non si fa coinvolgere dalla guerra e dalla rivoluzione che lo travolgono, riesce a capire che quello che conta nella vita non sono tanto gli ideali quanto le persone, le persone che si amano e che ci amano.
Per questo motivo cerca di non schierarsi, ma di perseguire l’obiettivo della sua vita, pur senza successo, stare vicino ai suoi familiari, a sua moglie Tonja e al figlio, verso i quali sente un fortissimo senso del dovere, e a Lara, la donna che ama davvero pressoché da sempre, più o meno consapevolmente.
In questo senso sì, è un eroe romantico, sebbene compia un errore da non sottovalutare nel suo percorso personale, quello di rinunciare a Lara. Zivago dimostra una certa debolezza nel suo vivere con Tonja amando invece Lara, che non si addice allo spessore di un eroe; è combattuto tra il dovere e l’amore, non sa scegliere, vive una doppia piccola vita, e per questo si dimostra sì molto umano ma anche un po’ debole e nel momento in cui può decidere di rifarsi un futuro con Lara lontano dalla Russia rifiuta perché il mezzo della salvezza è rappresentato da quel Komarovskij che tanto disprezza.
Chiamatelo onore, io la chiamo un’occasione persa, che lo porta a rinunciare al grande amore per una questione d’orgoglio.
Il vero eroe di questa storia, anzi l’eroina, è Lara, una donna forte, caparbia, che conosce la lealtà, anche al marito, quel Pavel Antipov che l’abbandona per un’altra questione di ideale (stavolta la rivoluzione), ma che sa anche riconoscere il momento in cui deve scegliere se vivere nell’attesa di qualcuno che ha rinunciato a lei o andare avanti, in nome dell’amore, quello per Zivago e quello per sua figlia.
Lara è la personificazione della nobiltà d’animo: la sua bellezza eterea risplende grazie alla sensibilità, alla generosità, alla forza interiore; nonostante un passato drammatico sa affrontare con coraggio il presente senza preoccuparsi troppo del futuro, consapevole che la vita è unica e bisogna assaporarla nei suoi singoli istanti.
È forse l’unico personaggio che sappia amare veramente, al di là di ogni passeggera passione.
«Non apprezzava il senso materno che in lei faceva una cosa sola con l’amore, senza comprendere quanto fosse più grande quell’affetto del comune amore di una donna».
Giulia de Luca
Dal Blog Diaro di un’ex stacanovista